martedì 12 gennaio 2010

J.-A. MILLER - La lezione delle psicosi

Lo introdurrò con una domanda: se Lacan ci propone il folle come uomo libero, si tratta solo di un umorismo infernale, atroce e disumano? Chi, infatti, è meno libero di un alienato? Il quale, quando non viene parcheggiato a lato della vita sociale, viene autorizzato a circolare solo munito di una camiciola di forza chimica. Definirlo libero non significa deriderlo? Si tratta forse di una battuta sconveniente, che può venire in mente solo a qualcuno che abbia rotto ogni legame di fraternità umana?
Credo di no. E se non si ascolta questo dire, che il folle è l'uomo libero, per ciò che è, e cioè l'assioma stesso dell'esperienza psicoanalitica delle psicosi, quest'ultima resterà chiusa per sempre. Non bisogna forse pensare che il nostro strutturalismo si è degradato in un risucchio di meccanismi, non fosse altro il meccanismo dell'inconscio, per renderci sordi oggi all'essenziale del dire che il folle è l'uomo libero? Crediamo forse di aver detto tutto sulla causalità delle psicosi quando mettiamo in funzione, come altrettanti meccanismi, le formule che Lacan ci ha consegnato? Mi riferisco a formule come il fallimento della metafora paterna, la preclusione del Nome-del-Padre, ed altre ancora che abbiamo preso dai testi. Lacan stesso non lo credeva, visto che ancora nel 1967, e cioè dieci anni dopo la "Questione preliminare" (S), dice: "Il folle è l'uomo libero".
Se citiamo così spesso le frasi di Lacan, non è forse per mascherare o commemorare la sorpresa che esse suscitano in noi? È proprio quando questa sorpresa non si è ancora spenta sotto i nostri calpestii, che forse esiste una possibilità di imparare qualcosa.(Pubblicato in "La Psicoanalisi n° 4, Astrolabio, Roma, 1988")